Con già diverse pubblicazioni all’attivo, Paolo Capponi è una giovane promessa del panorama letterario italiano. Scopriamo di più!
Ciao Paolo. Da dove nasce il tuo amore per la scrittura?
Non saprei dire da dove nasce, ho sempre raccontato storie e poi a un certo punto della mia vita ho iniziato a scriverle. Da piccolo le inventavo e me le ripetevo da solo; scrivendole, sono uscite fuori dal mio mondo interiore e io ho smesso di parlare da solo.
Sei già stato insignito di un Premio Letterario. Puoi raccontarci l’emozione di quel giorno?
Conservo un bel ricordo di quando mi hanno premiato per il concorso “Diverso sarò io”, incentrato appunto sulla tematica della diversità. Eravamo a Mantova, durante la fiera del libro, e mi accompagnava il mio compagno. Sai, i concorsi per me sono sempre stati una cartina tornasole del mio talento: se scrivere non è per me, adesso lo vediamo, dicevo a me stesso. Poi quel giorno hanno cominciato a chiamare i primi dieci classificati e il nome non lo pronunciavano mai: non riuscivo a crederci. Una gran bella soddisfazione che ha contribuito a sbloccarmi e a farmi partire a livello artistico.
Parlaci del tuo blog sperimentale “Il contagocce”. Com’è nato il progetto e come si sta evolvendo?
Partiamo dal presupposto – e chi mi segue sui social lo sa – che per me la scrittura è una tecnica artigianale che necessita di costante allenamento. Quando ho fondato Il contagocce, ero in un momento di blocco totale: avevo ricevuto un cocente rifiuto per un lavoro su cui avevo lavorato anni e mi chiedevo se davvero sapessi scrivere o se fossi solo uno convinto di saper scrivere, che è ben diverso. Uno non può mica saperlo all’inizio, ci scommetti sopra e vedi come va!
Così per non restare con le mani in mano, perché il romanzo rifiutato era ormai inutilizzabile e di uno nuovo proprio non ne avevo voglia, ho cominciato ad allenarmi sui racconti brevi. Anzi, brevissimi. Mi sono dato il limite delle cento parole, sulla scorta del racconto di Hemingway (“Vendesi scarpe da bambino mai indossate”) e ho aperto il blog. Di certo io mi sono allenato e il blog mi è servito per non allontanarmi dalla scrittura; ha riscosso successo? Non l’ho mai capito, sono una frana con Google Analytics. Qualcuno, quando ho smesso di aggiornarlo, mi ha scritto che gli piaceva e che avrebbe voluto che continuassi. Quindi propendo per un timido sì. In ogni caso Il contagocce fa parte di una fase della mia vita che è passata e ha esaurito la sua funzione. Quindi rimane lì, cristallizzato, come un bel ricordo.
Nel tuo romanzo M/M “Quando Giulio tornò single” affronti il difficile tema del tradimento. Come ti è venuta l’idea di quest’opera?
Volevo scrivere una storia realistica, non la solita romance (meravigliose, ma ce ne sono tante abbastanza simili tra loro); volevo inoltre raccontare una storia bolognese, la mia città d’adozione, e al contempo la formazione di un personaggio. L’ideale sarebbe stato un ragazzo ventenne che arrivava a Bologna per l’università, ma io avevo già ventotto anni, lavoravo e si poneva un discorso di linguaggio (io non parlavo già più come un ventenne studente fuorisede). Così mi sono detto: qual è quel personaggio che a ventotto anni si affaccia al mondo lgbt per la prima volta? E su facebook leggo di un mio contatto che si lascia dopo tredici anni. Eccola, la soluzione. Esce da un lunghissimo fidanzamento. E perché? Cos’è che può troncare un rapporto così duraturo? Sono andato sul classico: un tradimento colto in flagrante. Da lì è nato il primo capitolo di Giulio.
Tocchi i social come possibile apertura verso nuove relazioni. Secondo te questa è una strada in crescita?
Decisamente, ma non sono sicuro che sia un bene. Grindr è stato classificato da uno studio di qualche università americana come l’app che rende più tristi. Immaginate di mettervi in vetrina e di non essere considerati da nessuno: forse non piaccio, forse sono un cesso, forse non valgo nulla. Perché poi nessuno distingue la differenza tra virtuale e reale (Oh no, parlo come mio padre!). Invece flirtare dal vivo è qualcosa di meraviglioso, è una scoperta che diventa indagine che si trasforma in profumi, capelli e dita aggrovigliate. Innegabile è però il ruolo sempre più totalizzante che i social hanno nelle nostre vite e non possiamo farci niente. Andrà avanti così.
Come vedi il futuro dell’editoria digitale?
Io sono uno che compra indistintamente cartaceo e digitale e francamente non ne ho mai fatta una questione politica. Per me l’importante è la storia, che sia ben gestita, emozionante e ben scritta. Poi che sia in ebook, su carta, papiro o carta igienica, per me è lo stesso. Da scrittore noto comunque che il cartaceo ancora ricopre un ruolo emotivo per i lettori (quella fesseria del profumo della carta, che va bene, ma non se poi compri un romanzo orrendo) e idealmente vende di più. Però Giulio ad esempio ha venduto moltissimo grazie proprio al digitale e alla comunità di lettrici e lettori di ebook che c’è dietro. Si tratta di un mondo sotterraneo, ma molto vivo e forte. Quindi non so onestamente: la carta è qualcosa di insostituibile, più per un aspetto sentimentale; però l’ebook è tremendamente comodo e pratico e in fondo, se leggi e sei interessato alla storia, come me, è la stessa cosa.
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