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[#Anteprima] [#gratis] Vieni più vicino – Rosa Campanile

In anteprima un estratto gratuito del primo capitolo di “Vieni più vicino” di Rosa Campanile. Buona lettura!

 

 

CAPITOLO 1

Jackson

 

«Harry Potter o Il signore degli anelli

In piedi davanti allo scaffale dei DVD che mostrava una collezione da nerd di degno rispetto, attendevo la decisione della donna della mia vita su come trascorrere quel pomeriggio d’estate. Camminare tra i corridoi di Hogwarts ad agitare bacchette e creare pozioni, oppure attraversare la Terra di Mezzo con l’ingrato compito di distruggere l’Anello del potere?

Comodamente allungata sulla postazione relax del divano, Juliette Hunt, mia madre, agitò dubbiosa la punta del naso. «Uhm, no, niente di epico. Ho voglia di qualcosa di più moderno, magari con sparatorie e sangue.»

Okaaay. «Qualche zombie?» Le mostrai il cofanetto completo della saga cinematografica di Resident Evil.

«Niente morti che camminano. Magari dei vampiri?» ribatté con un sorriso vivace.

Secondo me non c’era molta differenza tra uno zombie e un vampiro, in entrambi i casi si parlava di morti viventi con una dieta da far schifo. Comunque rimisi al suo posto la sexy Alice e andai alla ricerca di… «Che ne dici di questo?»

«Perfetto!» Mamma annuì compiaciuta.

Inserii il primo disco nel lettore, acchiappai il telecomando e prima di rilassarmi mi accertai che mamma disponesse di ogni comfort: il suo bicchiere di succo di melograno biologico era pieno fino all’orlo, le bastava allungare una mano per raggiungere la ciotola di patatine sul tavolino e il plaid leggero decorato da tanti cuori rossi la copriva dal grembo fino alla punta dei piedi. Soddisfatto, mi sedetti sul tappeto davanti al divano, assunsi la posizione del loto e premetti play.

L’avventura cominciò.

«Come si chiama l’attore che interpreta Michael Corvin?» chiese non appena comparve in scena il protagonista maschile.

«Scott-qualcosa.»

«Scott-qualcosa è proprio un gran figo.»

«Mamma!» La rimproverai con un’occhiata da sotto in su.

Lei strinse le spalle sottili. «Che c’è? È la verità. È affascinante e sexy. Vorresti negarlo?»

Infilai una manciata enorme di popcorn in bocca per non dover rispondere e tornai a guardare lo schermo.

Sentii mamma sorbire un po’ di succo. «Dovresti essere contento: la mia libido è ancora viva e vegeta, anche dopo che gli aghi e le medicine hanno invaso il mio corpo.»

I popcorn mi andarono di traverso, facendomi quasi strozzare. Una mano familiare accorse a darmi diverse pacche sulla schiena, ma fu solo con un generoso sorso di Coca-Cola che riuscii a mandare giù il bolo-killer.

Quando ebbi ripreso abbastanza fiato, mi asciugai le lacrime agli angoli degli occhi e la fulminai. «Mai, mai parlare della,» brivido di ribrezzo, «tua libido o, peggio della,» doppio brivido, «tua vita sessuale con i tuoi figli, in particolare con me. Regola numero due, ma’!»

Per tutta risposta, Juliette Hunt scoppiò a ridermi in faccia.

Ecco cosa succedeva quando si affrontavano certi discorsi con lei. Purtroppo – o per fortuna, non avevo ancora deciso bene – mi era capitata in sorte nelle vesti di madre una donna libera che non aveva paura di parlare di argomenti tabù con i suoi figli. In passato avrei continuato a lagnarmi tanto per darle fastidio, ma non quella volta. Era un tale piacere vederla spensierata, con le guance arrossate per la spontaneità con la quale stava ridendo e non a causa della febbre; le iridi color cannella scintillavano vitali come non accadeva da diversi mesi, cosa che mi fece scordare istantaneamente la mia quasi dipartita per soffocamento. Avrei lasciato che si prendesse gioco di me all’infinito, se serviva a farla sentire meglio.

«Sei un giovanotto bello cresciuto, dovresti sapere da un pezzo che i tuoi genitori fanno sesso, e anche tanto,» esclamò infine senza peli sulla lingua, zittendomi completamente.

Una sensazione di nausea cominciò a rimescolarmi alla bocca dello stomaco.

«Povero Jackson, che faccia. Ti stavo solo prendendo in giro! Adesso la smetto, va bene?»

Mi passai una mano sulla fronte per lo scongiurato pericolo. «Grazie al cielo.»

Nonostante la promessa, mamma continuò a sogghignare. «E comunque dovresti complimentarti per il mio buongusto in fatto di uomini.»

Feci una piccola smorfia. «Buongusto adesso… hai sposato papà, mi pare.» Uno schiaffetto improvviso e fastidioso mi picchiò sulla nuca. «Ahia!»

«Dovresti essere grato, invece. È solo per merito del DNA di Christopher Hunt se ti ritrovi con il tuo bel faccino.»

Sbuffai ma non replicai a ciò che era la pura verità. Sapevo benissimo di essere simile a mio padre, in maniera esagerata. Da lui avevo ereditato il taglio particolare degli occhi scuri e il fascino indiscusso degli uomini Hunt. Una somiglianza che non mi faceva per nulla piacere, eh, ma per gli aspetti che contavano, come il carattere e la gioia di vivere, dovevo ringraziare solo ed esclusivamente mia madre.

«L’unica cosa di cui sono grato al momento è che tu preferisca Michael Corvin…» Scott Speedman, ricordai in un lampo, «a Jacob Black.»

Mamma emise un sospiro esagerato. «O meglio ancora, a Edward Cullen!»

Già. Grazie al cielo, Juliette Hunt aveva un ottimo gusto in generale, e nello specifico in fatto di vampiri e licantropi, rispetto alla massa di casalinghe disperate e ragazzine dalla cotta facile. Un po’ meno nella scelta del marito, ma quella rimaneva una mia opinione personale di cui, sfortunatamente, non potevo lagnarmi ad alta voce, poiché quell’unione aveva generato me come frutto, assieme a quel tacchino ripieno di sé di mio fratello maggiore Weston.

Terminati gli apprezzamenti femminili, continuammo a seguire l’ennesimo scontro nella guerra millenaria tra vampiri e lycan. In verità la mia attenzione era più per mamma che per il film, e più di una volta indugiai nel fissarla di sottecchi. Nessuno avrebbe potuto darmi torto dopo la tribolazione che avevamo passato.

C’era mancato pochissimo che ogni cosa – lo stare insieme, ridere e scherzare e parlare – diventasse un ricordo del passato. Tutta colpa di un dannato tumore al seno al secondo stadio. La malattia era stata un fulmine a ciel sereno che aveva scosso le fondamenta della famiglia Hunt. Papà, Weston e io ne eravamo rimasti sconvolti e anche se ognuno di noi aveva reagito a modo proprio, avevamo fatto fronte comune, con l’obiettivo di dare ogni possibile sostegno e aiuto alla donna che era il perno centrale delle nostre vite.

In quei mesi avevo letteralmente tremato di terrore al pensiero di perdere l’unica donna che amassi al mondo, e tutto a causa di quel subdolo male; però avevo fatto in modo di celare agli altri quanto la sua malattia mi avesse devastato, per non angosciare mamma per prima, e Wes poi. Solo Tyler e sua sorella Emma avevano intuito qualcosa, eppure non mi avevano mai costretto a parlarne – non volevo – preferendo supportarmi e sopportarmi (ma quello lo facevano già a tempo pieno) con la loro silenziosa presenza fin nei più piccoli dettagli.

Solo adesso, con il peggio alle nostre spalle, mi sentivo di poter tirare un respiro di sollievo e ringraziare Dio, Allah, Odino o qualsiasi buona stella avesse voluto correre in nostro soccorso: l’operazione chirurgica era andata bene, le terapie avevano fatto il loro dovere e i medici erano ottimisti sulla sconfitta definitiva del carcinoma e sulla ripresa in positivo dello stato di salute di mamma, debilitato dal lungo ciclo di chemioterapia. Necessitava unicamente di riposo, tanto riposo e altro riposo ancora.

Se lo meritava. Mamma Hunt era una donna cazzuta, non si era mai scoraggiata, aveva combattuto e vinto la sua battaglia, così come doveva essere.

Le lanciai l’ennesima occhiata clandestina. I pesanti effetti della chemio riverberavano ancora sul suo corpo taglia small, i pochi ciuffi di capelli castano miele che ancora le rimanevano erano nascosti dal foulard di seta Gucci, regalo di Wes; la perdita di peso le aveva affilato gli zigomi e i polsi erano così sottili che temevo si sarebbero spezzati con la più lieve delle carezze.

«Jackson?»

Portai l’attenzione ai suoi occhi. «Sì? Ti serve qualcosa?»

«Nulla. Smettila di guardarmi come se dovessi rompermi da un momento all’altro. Non accadrà.»

Beccato. «Sicura?»

Mi sorrise. «Sicurissima.»

«Me lo diresti se fosse il contrario, vero?»

La vidi alzare gli occhi al cielo, prima di indicare il televisore. «Schermo. Film. Adesso.»

«Agli ordini, mamma,» ridacchiai. Poteva anche essere debole nel corpo, ma il suo carattere indomito non aveva subìto alcun danno. E ne aveva da vendere, le bastava una sola parola per farsi rispettare e prendere il comando, compito affatto facile all’interno di una famiglia di soli uomini, tutti testardi e arroganti.

Dopo diverse scene in cui pallottole e sangue finto si sprecavano, ricevetti un messaggio dalla coinquilina e amica di letto di Ty.

 

April: Ho appena messo su Vin Diesel in Missione tata. Ty però non vuole collaborare.

Jackson: Ricordagli che gliela farò pagare cara se non tiene fede alla parola data!

April: Minaccia ricevuta 😉

 

«Con chi ti scrivi, una ragazza?»

Sollevai le spalle. «Con chi altri?»

«Come si chiama?» Riconobbi all’istante il suo tono da sono-curiosa-e-voglio-sapere-tutto.

«April Holland. Ma non metterti strane idee in testa, diciamo che Ty è già mezzo cotto di lei.» Non era proprio vero, almeno per quanto riguardava il cuore del mio migliore amico. Il suo pisello invece era stato più che sedotto.

Gli occhi di mamma si riempirono di cuoricini lampeggianti. «Ne sono lieta, davvero. Era ora che andasse avanti dopo la delusione di quella Jane.»

«Già,» convenni. La Rossa aveva lasciato Tyler distrutto, ma la ricostruzione cominciata con il Viaggio[1] stava proseguendo alla grande grazie alla relazione solo-sesso con la bella biondina. Tyler stava per rimettersi in careggiata, ed era ora, cazzo.

Sentii mamma sospirare contenta, un sorriso dipinto sulle labbra. «Almeno lui mi dà qualche soddisfazione. Se dovessi aspettare te o tuo fratello per avere dei nipotini…»

Nipotini?

«Aspetta un secondo!» Misi in pausa il film e balzai a sedere sul divano. «Non credo proprio che Ty si metterà a sfornare bambini da un momento all’altro. Lo conosci, è lento come una lumaca quando si tratta di “sentimenti”,» mimai le virgolette in aria. «E poi, di cosa ti lamenti, hai appena conosciuto la fidanzata di Wes!»

In quale mondo vivevamo se un tipo ego-pomposo-centrico come Weston si era fidanzato? Non esistevano vocaboli per descriverlo, anche se la parola “apocalisse” continuava a vorticarmi in testa come una pallina da flipper.

Appena giunto a Charlotte, Wes mi aveva presentato Tamlyn Cho, una graziosa bambolina di origini coreane, come sua fidanzata. E non tanto per dire, come avevo pensato in un primo momento di muto sbalordimento: facevano seriamente sul serio, come provava il diamante da tre carati e mezzo al dito di Tamlyn, un pezzo di minerale che pesava più di lei.

Tam aveva l’aspetto di una cosina dolce e gentile, ma era bastato scambiarci qualche chiacchiera per capire che sotto l’aspetto da principessina celava una personalità d’acciaio. Avvocato nello stesso studio di Weston, non venerava la terra dove camminava mio fratello – era troppo indipendente per abbassarsi a quel modo – ma delle volte sembrava pendere totalmente dalle sue labbra. Il che non mi toglieva dalla testa che fosse vittima di una qualche specie di rito voodoo, o peggio, che la mia teoria iniziale fosse corretta: Weston fidanzato era un segno dell’avvicinarsi della fine del mondo. Al solo pensiero che mio fratello si riproducesse mi venivano i sudori freddi.

«Tra meno di un anno saranno sposati e avranno messo in cantiere il primo Weston Junior. Cos’altro vuoi di più?»

Mamma affilò lo sguardo, la faccia seria da adesso-ti-sistemo-io. «Magari desidero che entrambi i miei figli incontrino una donna per bene che gli faccia mettere la testa a posto…»

«La mia testa sta benissimo dov’è, sul mio collo,» ribattei scontroso.

«E che ti conquisti fino a farti desiderare di sposarti e darmi i nipotini che mi merito.»

Restai a bocca aperta. Matrimonio? Figli?

Cioè, bambini al plurale?

Ma si ricordava con chi stava parlando?

Sprofondai nello schienale del divano, le braccia strette al petto, scuotendo il capo come un bambino capriccioso. «Mi spiace darti un dolore, mamma, ma non credo potrò accontentarti in questa tua fantasia da romanzetto rosa.»

Toccò a lei scuotere la testa. «Sei così cieco, Jackson…»

Aggrottai la fronte a quell’osservazione, ma prima che potessi chiederle spiegazioni aggiuntive, la porta d’ingresso si aprì.

 

 

[1] Il Viaggio di Tyler e il suo incontro con April sono raccontati nel romanzo Senza fare rumore, primo della serie Sweet Surrender.

 

 

 

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